ANGOSCIA
L’angoscia è una condizione di paura generata da qualche cosa che è ignoto o solo parzialmente ignoto. In sintesi, l’angoscia può manifestarsi in due condizioni: quando c’è una condizione di reale e attuale pericolo rispetto al quale siamo del tutto impotenti e di fronte al quale non siamo in grado di innescare la benché minima reazione; oppure quando c’è una condizione reale e attuale di pericolo, che produce in noi un senso di estraneità, di incomprensibilità, che quindi rimanda a qualcosa di insondabile, di ignoto o di assurdo. La prima è dunque l’angoscia che si presenta quando la persona si sente già condannata; è una angoscia di morte, che lascia spossato, affranto, inerte la persona, la quale non riesce ad avere nessuna reazione né psichica né reale. La seconda angoscia è prodotta dalla ragione che, attonita e stupefatta, non riesce a capacitarsi di un evento che oltrepassa i limiti della ragione e del senso morale. E’ ciò che proviamo, anche se in forma ridotta, di fronte all’immensità e alla incomprensibilità dell’universo. In entrambi i casi, dunque, l’angoscia è un segnale: il segnale della nostra esposizione ad un pericolo. In questi casi il pericolo riguarda la nostra stessa esistenza fisica; e l’angoscia proviene dalla sproporzione tra le nostre capacità di reazione e l’evento atteso. L’angoscia può essere generata anche da un pericolo che riguarda il nostro Sé. Non si tratta dell’angoscia di fronte ad un evento atteso del mondo esterno che minaccia la nostra integrità fisica, ma un evento che minaccia la nostra integrità psicologica, cioè il senso del nostro valore e della nostra unità psicologica. Nella lingua comune l’angoscia e il panico vengono rigorosamente distinti. “Essere preso dal panico” non è come “essere angosciato”. Essere angosciato designa una esperienza di sofferenza più limitata rispetto a quando si è presi dal panico. Nella condizione del panico si verificano disturbi a livello corporeo, come senso di soffocamento, sudorazione eccessiva, nausea; questi fenomeni possono esserci anche in una più comune condizione di angoscia, ma sicuramente sono più limitati. Si può dire allora che la differenza tra il panico che si verifica nel cosiddetto attacco di panico e angoscia propriamente detta è proprio l’intensità dell’esperienza e il coinvolgimento della sfera corporea. L’attacco di panico è una esperienza di angoscia, che è divenuta identificabile come tale dalla persona perché l’angoscia si ripete, immancabilmente ma inspiegabilmente e perché ha una particolare intensità. Oltre a questo aspetto quantitativo il panico e l’angoscia sono esperienze emotive simili, che, peraltro, appartengono alla vita di tutti; non sono di per sé nulla che debba considerarsi patologico. Sono patologici quando perdurano e senza una ragione che possa essere una sufficiente giustificazione. Spesso nella vita ci possiamo trovare nella condizione di dovere prendere decisioni importanti, senza l’adeguata preparazione; in questo caso, ci esponiamo a qualcosa di ignoto. Quando la scelta è compiuta in una grande assenza di dati su quello che ci aspetta, esponendoci dall’oggi al domani ad un grande cambiamento allora si verificano due possibilità: o siamo per carattere “portati” a così rapidi cambiamenti (ad es., perché in realtà amiamo i rapidi cambiamenti), oppure la decisione si presenterà come angosciosa: è inevitabile.
Risposta: l’angoscia è una terribile sensazione che qualchecosa stia per accadere in qualunque momento ma non la si può definire sempre come causa della psiche poiché all’interno di queste persone spesso esiste la condizione di vivere continuamente nelle nuvole vista la inerzia del corpo. E così le ritroveremo molto spesso nel biotipo BQ+AQ in cui l’unica cosa che risulta in attività è la eccessiva fibrillazione della mente mentre il corpo patisce le pene dell’inferno dato che nessuno provvede alle sue richieste. Casi di questo genere non vanno trattati dalla psiche ,dato che la mente sta sveglia unicamente per non far sì che tutto vada in rovina. Riattivare in essi le funzioni vitali dimenticate sarà un atteggiamento giusto per il recupero del paziente e nel contempo vedere quanto la mente riesce a comprendere durante il trattamento, a che fase il sistema si è venuto a trovare, per poi reagire adeguatamente. Dopo essere usciti da questo terreno occorre il consiglio psicologico che risulterà efficacissimo e risolutivo. Se invece la psiche la avessimo trattata durante la fase precedente avremmo perso il paziente poiché ragionare sulle sue instabilità senza far sì che si riprenda fisicamente e moralmente risulterà un messaggio per loro deleterio e senza risultato.